Claudio Cavallaro
Non è facile, in poche righe, parlare di una persona che è sempre stata un punto di riferimento. Don Sandro è stato parroco nella mia parrocchia, i Sacri Cuori di Gesù e Maria, dal 1988 al 2007, cioè dai miei 7 anni fino ai 26. Con lui sono cresciuto nel vero senso della parola: da bambino sono diventato ragazzo e mi sono affacciato alle soglie dell’età adulta e se dovessi provare a descriverlo con un solo aggettivo, userei il termine “mite”. In tanti anni non l’ho mai visto arrabbiato, anche quando aveva ragione di esserlo: bastava guardarlo in viso, sempre sorridente e serafico anche nei momenti più difficili; bastava parlarci un attimo per apprezzare, ogni volta con stupore, la sua mitezza. E se i miti erediteranno la terra, la sua ricompensa è veramente grande.
Al di là del rapporto che si possa avere con la fede e con la Chiesa, chi ha conosciuto don Sandro può dare testimonianza della sua genuinità e della sua umanità, rivolta a tutti, senza distinzione. Nonostante fosse nato negli Anni ʼ30 era un prete dalla mente e dal cuore aperti, come tutti i preti dovrebbero essere. Condividevamo la grande passione per la Musica e non smetterò mai di essergli grato per avermi affidato, appena ventenne, la direzione della corale della parrocchia. Per me, studente al Conservatorio, era una grande responsabilità ed è un'esperienza che ha contribuito in maniera determinante alla mia formazione musicale. Diventato vicerettore nella bellissima chiesa di Santa Maria in Via Lata a Via del Corso, diverse volte mi ha invitato a fare concerti in quel posto meraviglioso.
Sono davvero tanti gli insegnamenti che, con i suoi modi semplici e con ironia, qualità troppo spesso sconosciuta ai preti, don Sandro ha lasciato a tutti noi. Prima di inviare questo ricordo a don Fabrizio, ho letto le parole con cui l’amico don Nicola Florio, sacerdote in servizio ai Sacri Cuori per due anni, ha voluto ricordare don Sandro. Lui stesso ha riportato una delle battute con le quali don Sandro era solito stemperare gli animi: battute che, in realtà, risuonavano come piccoli e semplici insegnamenti di vita. Ricordo che spesso, dopo le prove del coro, ci intrattenevamo a banchettare nella sala detta “del tavolone”. Le prove si facevano all’ora di cena e, a un certo punto, gli stomaci cominciavano a borbottare. Allora don Sandro ci prometteva che in pochi minuti ci avrebbe liberati dall’impegno canoro, aggiungendo ogni volta la frase: «Prima se canta e poi se magna». Quella, come tante altre frasi, dette con quella “calata” romanesca che rendeva a tutti don Sandro ancora più caro e vicino, sono entrate a far parte del mio slang quotidiano. Ancora oggi, anche ai miei alunni, anziché dire «prima il dovere e poi il piacere», dico «prima se canta e poi se magna», spiegandone ovviamente il significato e raccontando della persona a me tanto cara che era solita dirla.
Nel 2018, don Sandro avrebbe dovuto concelebrare il mio matrimonio, ma i problemi di salute non glielo permisero. Non mi fece comunque mancare il suo affetto e la sua preghiera in un momento così importante della mia vita. Sono andato a trovarlo l’ultima volta prima del Covid e mi parlava della sua malattia con grande serenità, conscio che non gli sarebbe rimasto molto da vivere ma consapevole di aver vissuto una vita lunga, piena e, soprattutto, che non ha fine con la morte. Sembrava quasi aspettare quel momento con la trepidazione tipica di chi vuole incontrare qualcuno che ama. Anche in questo è stato un esempio, come sempre.
Molto altro potrei dire di don Sandro, ma mi limito a riportare una riflessione che scrissi per il giornalino Insieme – che è stato l’organo di informazione dei Sacri Cuori negli anni in cui don Sandro è stato parroco – in occasione del suo pensionamento. La scelta del cardinale vicario di trasferirlo altrove, anziché trattenerlo in parrocchia come fu per il suo predecessore don Cesare, mi lasciò molto amareggiato. Fortunatamente ai Sacri Cuori è poi arrivato un parroco, don Stefano, per il quale tutti i parrocchiani, me compreso, hanno provato da subito grande affetto e stima e il nostro amato ex parroco è stato trasferito a Santa Maria in Via Lata, insieme all’amato fratello don Franco. Però, lì per lì, la scelta mi lasciò spiazzato e scrissi un articolo molto duro, nel quale, però, riversavo tutto il mio affetto per don Sandro. Eccone un passaggio.
«Io, che ho 26 anni, faccio veramente tanta fatica a pensare la parrocchia Sacri Cuori senza don Sandro, così come avrei fatto fatica a vederla senza don Cesare, a cui invece fu concesso di rimanere nella nostra comunità anche dopo aver lasciato l’incarico di parroco, finché il Signore non l’ha chiamato a sé. È forte la mia tristezza per questa decisione e potrei scrivere di tutti gli insegnamenti – anche musicali! – ricevuti da don Sandro, dei bei momenti passati con lui e del grande vuoto che lascerà con la sua partenza, ma non lo farò. Non pubblicamente.
Ciò che mi preme fare in questa sede è riflettere su come i vertici del vicariato romano abbiano disposto, senza un briciolo di umanità, questo radicale cambiamento nella nostra comunità. Certo, c’è quella corrente che sostiene che eventuali differenze di vedute col nuovo parroco avrebbero potuto creare tensioni e problemi di convivenza, ma sono certo che, chiunque verrà chiamato a sostituire don Sandro, avrebbe avuto a che fare con un uomo che, per il suo carattere, non detta legge, ma dà solo buoni consigli. Così come sono certo, conoscendo don Sandro, che avrebbe accettato ogni decisione del suo successore – anche quelle non condivise – senza creare problemi, per lo spirito di subordinazione e di mitezza che lo ha contraddistinto anche di fronte ad una decisione così drastica come quella del suo trasferimento.
Ultimamente – e mi assumo tutta la responsabilità di ciò che scrivo – faccio fatica ad accettare certe posizioni della Chiesa e certe sortite dei suoi vertici su temi sicuramente ben più importanti del trasferimento di un sacerdote. Quando però certe decisioni ti toccano in prima persona, allora ti rendi conto che chi ha poteri decisionali spesso agisce senza tener conto di quella che viene detta “umana pietà”.
Tutte le domeniche, a Messa, non manca mai una preghiera per la comunità parrocchiale, che frequentemente viene paragonata ad una famiglia. MA QUALE FAMIGLIA? Una famiglia che manda il nonno alla casa di riposo non appena le sue forze iniziano a non essere più quelle di una volta? Beh, complimenti. proprio una bella famiglia! E poi fanno il “family day”…
Credo che chi è posto a capo delle diocesi dovrebbe girare più spesso nelle parrocchie e frequentare meno gli uffici;
forse capirebbe quanto è importante la figura di un prete e di un uomo come don Sandro nelle nostre comunità parrocchiali.
Spero che don Sandro, solitamente schivo e contrario a troppe attenzioni nei suoi confronti, mi perdoni per tutto questo clamore creato intorno a lui, ma sono parole che sgorgano, anche se con un po’ di rancore, dal cuore».
Grazie, don Sandro, esempio vero di santità. Ti porterò nel cuore.