Tramandare
don Sandro scrisse questo pensiero alle famiglie dei bambini che dovevano ricevere i sacramenti della Iniziazione Cristiana
Il vocabolario della lingua italiana assegna alla parola “tramandare”questo significato: trasmettere alle età seguenti, ai posteri es.tramandare il proprio nome, la memoria di un fatto ecc.
Noi vogliamo riferire il dinamismo del tramandare, tra i moltissimi ambiti possibili, particolarmente all’ambito della fede. Tramandiamo alle generazioni future la fede che noi abbiamo ricevuto? Quelli che ci hanno preceduto ci hanno lasciato tanti segni del loro vivere e del loro credere. Roma non manca di istituzioni caritative o culturali escogitate da nostri predecessori; tra essi annoveriamo santi elevati agli onori dell’altare o piccoli e tenaci testimoni quasi sconosciuti.
A cominciare dalle catacombe, nate come forma di condivisione e di ospitalità per la sepoltura da parte di persone abbienti e proprietarie di terreni adatti allo scavo delle gallerie, nei confronti di altri più poveri ma appartenenti alla stessa fede, a continuare con i tesori di arte, vedi ad esempio nelle pareti delle basiliche o delle chiese, le raffigurazioni di scene del Vecchio e Nuovo Testamento, chiamata la “Bibbia dei poveri”.
Di questo patrimonio ci serviamo ancora oggi per gli spunti di catechesi che ci offre ampiamente.
Naturalmente questo tramandare non avviene solamente a grandi livelli ma anche in maniera spicciola si effettua con le tradizioni familiari, sociali. Anche nelle piccole cose di ogni giorno, nella concretezza della vita, si tramanda qualcosa dei nostri valori e delle nostre convinzioni. Certamente tutti coloro che vivono e operano, lasciano una qualche traccia di sé che altri potranno accogliere o rifiutare. Ma credo che questa funzione e questo compito investa soprattutto i genitori. Essi sono impegnati in questo sforzo che è vitale e anche inconsapevolmente trasmettono ai figli, insegnamenti e comportamenti che riemergeranno nella loro vita e che in seguito condizioneranno i atteggiamenti e scelte.
Un primo comportamento e una prima attenzione è quella di vivere bene materialmente, cercando per il figlio ogni sorta di benessere, abituandolo ad avere appagata ogni sorta di richiesta e spesso a prevenire ogni esigenza e ogni desiderio. Questo si esprime ad esempio nel cibo, consumato ad ogni momento, senza badare a spese, e con abbondante spreco; nel ricercare anche nel vestito l’ultima moda o il prodotto firmato; nella emulazione a ostentare l’ultimo prodotto. Fin da bambini si respira questa atmosfera.
Prendiamo ad esempio la festa di compleanno. In parrocchia a volte si metteva a disposizione una sala per queste ricorrenze. Le prospettive che si reputavano valide erano che l’incontro tra famiglie lasciasse qualche segno di comunione e di conoscenza reciproca, se è vero che la parrocchia voleva essere famiglia di famiglie. Ma queste aspettative rimanevano vanificate dal fatto che predominante se non esclusiva era la preoccupazione del regalo, in un crescendo di emulazione e soprattutto in un obbligo di restituzione alla prossima occasione. Così ad esempio se faceva festa di compleanno un bambino e invitava i suoi 20 compagni di classe, erano 20 regali, ma con il sentito obbligo di ripetere la festa quando toccava ad un altro, erano altri 20 regali e così innescando questo processo erano 400 regali. Per questo motivo in parrocchia non ci si prestava più a questo meccanismo e non si ospitavano più incontri di questo genere.
In occasione dei sacramenti, Prime Comunioni in modo particolare, la preoccupazione di molti era quella di apparire e di mettere al primo posto nella graduatoria dei valori il far bella figura e quindi il vestito, le fotografie il ristorante, gli inviti ecc. Se nelle riunioni con i genitori in parrocchia, ci si intratteneva sulla necessaria partecipazione della famiglia e sul clima di fede da respirare e far respirare ai propri figli per questo evento, e magari il discorso scivolava sulla organizzazione, sui vestiti, sulle foto….appariva ben chiaro che questi temi riscuotevano tutto l’interesse e invadevano tutti gli altri temi, escludendo attenzione ed interesse per tutte le altre prospettive che ci si sforzava di far recepire. Non era raro che apparisse tutta la litigiosità e animosità presente spesso nelle riunioni di condominio.
Anche la parrocchia cercava di instaurare delle abitudini che poi si tramandavano di anno in anno. Gli anni successivi, le proposte attuate negli anni precedenti, venivano meglio digerite e anche condivise. Ricordo la resistenza iniziale nel proporre ai genitori un abito normale che i bambini e le bambine potessero usare anche nelle altre domeniche e negli altri giorni dell’anno. Accadeva che molte famiglie magari si indebitavano, pur di non rinunciare a sfruttare questa occasione per fare spettacolo. Se da un lato c’era da parte delle famiglie questo arrivismo, dall’altro lato la parrocchia si sforzava di istaurare abitudini che alleviassero oneri, magari fornendo un abito uguale per tutti: la tunica bianca che dopo averla indossata si portava in tintoria e entro la settimana si riconsegnava in parrocchia rendendola disponibile per i turni successivi.
Altro settore riguardava la scelta dei padrini per la cresima. I criteri spesso presenti nelle famiglie, non erano certo quelli suggeriti dalla fede, ma quelli piuttosto della prospettiva di un regalo più consistente o di una convenienza sociale. A volte, quando i criteri della disciplina ecclesiale escludevano da questo ruolo persone, perché non ancora cresimate o non regolarmente sposate, erano drammi, perché la proposta era stata già avanzata e non si poteva tornare indietro se non a scapito di malumori e di reazioni negative nei confronti della Chiesa (Ho addirittura sentito che in ambienti mafiosi il regalo per la cresima è la pistola per difendersi ed affermare in tal modo la propria forza ed autorità nel contesto sociale. Non è il nostro caso, ma questa prativa fa riflettere).
Nella esperienza parrocchiale si veniva spesso a contatto con queste problematiche sia nelle occasioni di incontro personali, sia per le circostanze che avvicinano alla parrocchia le famiglie in occasione della catechesi, dei sacramenti o della partecipazione alla vita di gruppo dei propri figli. Negli incontri con famiglie giovani alle prese con la educazione dei figli, negli anni del post-battesimo o della catechesi di comunione, venivano fuori le perplessità e la constatazione che il messaggio verbale non attecchiva se non si dava con la vita testimonianza che quel messaggio era convinto e vissuto personalmente.
Vedasi questo per quanto riguarda la partecipazione alla messa domenicale o l’educazione alla preghiera in famiglia, al trovare tempo per dialogare con i figli e non scaricarsi magari da un senso di colpa, riempiendo di regali, per giustificare la propria assenza da quel dovere di essere presenti e perdere tempo a dialogare con i figli, per crescere insieme nella responsabilità.
Importante la condivisione di certi valori tra marito e moglie per non disorientare i figli negli atteggiamenti e nei valori da assimilare. Al giorno di oggi molte ferite del rapporto coniugale si trasmettono ai figli e instaurano la mentalità che con certe situazioni si può convivere ugualmente bene e che poi non è così importante sacrificarsi per certi ideali perché si campa lo stesso.
Grazie, caro don Sandro, che anche oggi ci fai riflettere con queste tue considerazioni del 2008 sempre molto attuali anche oggi.
Interroghiamoci perciò su ciò che la nostra vita lascia e "tramanda" alle generazioni future, ma anche a noi stessi.